Felice. Una parola davvero corta dal significato così complesso. D'altro canto non trovo un'altra parola per descrivere la sensazione di quando torno a Palermo, dopo molto tempo. Palermo, città segnata da tragedie di uomini che uccidono altri uomini, sotto il cielo e la meraviglia di un luogo che si fa scrigno di tesori fuori dall'immaginario. Porta Felice è una delle porte d'ingresso della città. Splendida e incantevole è la soglia che invita al cammino per il Cassaro.
Non ti parlerò della storia di questo edificio dalla bellezza incontenibile. È una storia di lontane maestranze che collaboravano alla ricerca dell'armonia, della forma. Piuttosto ti parlerò di quanto prezioso sia il valore che attribuisco al tempio dell'effimero più grande d'Italia. E ti parlerò di com'era bello passare le gionrate a gironzolare attorno a questa magnifica grandezza. Com'era bello lavorare alle grandi opere del teatro musicale.
Nella mia lontana città esiste una via che, come tante vie, trasuda mistero e magia. Il suo nome è molto strano. Sembra uscito da una fiaba mediorientale: "via delle sedie volanti" la chiamano. E io ne sono innamorato. Profumi, aromi e colori me li porto irrimediabilmente dentro.
Sempre nella mia città, nel mezzo di un nobile ed elegante quartiere, al centro di un cuore antichissimo, dove soltanto infinite meraviglie si possono trovare, esiste una strada dove tutto è immobile. Dove seguendo la via, anche se la realtà intorno cambia, sembra quasi di addentrarsi in una immutevole e millenaria bellezza sospesa nel tempo. "VIA DELL'OROLOGIO!" gridano i putiari della zona.
Al buio. Sento l'imponenza delle tue grandi mura. La direzione dei tuoi archi ammalia la mia anima e con solennità la proietta verso il soffito. Quel soffitto che appartiene a tutto il mondo, il blu che gli occhi dell'umanità contemplano in silenzio. Lo Spasimo (Il dolore). Sotto la volta stellata risuona lontano il dolore di sanguinosi secoli di battaglia e la paura concreta di essere invasi e dominati dai Turchi. Bravi furono i nostri antenati a ricercare la bellezza.
"Alle 22:30 a Piazza Rivoluzione", hanno detto i miei amici. Arrivo a piedi attraversando il salotto della bella Palermo. È umida la sera, e scendo presto per camminare solitario in quelle vie che scintillano oro. Cammino senza fare troppa attenzione alla strada, quasi a seguire un nobile richiamo e, ancora prima di accorgermene, mi ritrovo davanti a un'opera d'arte secolare. "Buonasera amico mio, ti trovo bene, forse un po trascurato. Sconosciute sono le mani che ti hanno scolpito.
Sangue, ghiaccio e aromi di mille e una spezia. Questo è l'odore che travolge il mio spirito e risveglia antichi sapori, mentre di notte passeggio per la Vucciria. Quando tutto è chiuso, quando tutto è spento. Quando il rigoglioso e assolato mercato diventa raccordo di giovani anime pronte a divertirsi. Il momento della notte, quello che preferisco, in cui le balate lucide sembrano respirare come le narici di una bestia esausta, che riposa sotto sciabordanti luminarie.
"Ottangolo!" Questo è uno degli appellativi regali e simbolici di un luogo che, come un meraviglioso diamante, cattura l'immensità della luce del sole in ogni stagione, anche durante quella più intima e cupa. Come un gioiello di inestimabile valore al quale si attribuiscono diversi nomi ridondanti, il "teatro del sole" di Palermo segna un incrocio di secolare e temibile bellezza, che porto dentro me, incastonato e intatto tra le memorie più antiche.
Argentee erano le acque del fiume Papireto, dove secoli e secoli fa fu eretta una torre di vedetta. Un punto molto alto, sorretto da mura impenetrabili e sontuose. Vertiginosa altezza dalla quale intercettare con facilità il nemico. E, com'è vero che il tempo cambia tutto, soltanto dopo molte epoche e dominazioni la cattedrale di Palermo diventò tempio dello spirito, casa clericale e archivio di antiche conoscenze e arcaici tesori.
Mi perdevo tra i sorsi di un buon Mojito, mentre la mia lucidità veniva meno, lasciando posto alla consueta disinvoltura notturna. La luce verde assenzio del faretto del "Colletti" mi teneva inchiodato, come una falena alla sua lanterna, a quel meraviglioso vicolo le cui balate narrano di storie lontane. Un vicolo dove il sacro e il profano si uniscono.